ALLA PANORAMICA

Il «quiet quitting» nello studio dentistico

Nina von Allmen
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Quiet Quitting

Chi, nell’ambito della propria attività lavorativa, deve svolgere troppi compiti non contemplati dal contratto spesso fa «quiet quitting». In realtà, questo fenomeno non ha nulla a che vedere con un licenziamento, ma indica un cambiamento che si sta delineando nell’etica del lavoro. Che cosa comporta il «quiet quitting» per i titolari di uno studio dentistico?

 

Come molti altri concetti alla moda, anche «quiet quitting» è nato sui social. Questo fenomeno, che letteralmente significa «andarsene in silenzio», non ha tuttavia nulla a che vedere con un licenziamento, ma indica piuttosto la tendenza che si sta facendo strada tra i lavoratori a non assumersi compiti supplementari durante il lavoro, limitandosi a svolgere le mansioni pattuite contrattualmente.

La trasformazione della morale del lavoro
Questa tendenza, particolarmente marcata tra i millennial e la generazione Z, è destinata a influenzare in maniera duratura il futuro mercato del lavoro. Già oggi i lavoratori si identificano sempre meno con la loro professione e anche la dedizione nei confronti del datore di lavoro è in calo.

Questa situazione può diventare delicata soprattutto nel settore sanitario, dove le ore di lavoro supplementari e le mansioni non previste al di fuori dell’agenda sono all’ordine del giorno. In questo settore il «quiet quitting» potrebbe spingere i collaboratori a non fermarsi in studio o a non rispondere ai messaggi oltre l’orario di lavoro pattuito contrattualmente, concentrandosi unicamente sui loro compiti senza mostrare alcuna flessibilità nell’assumersi altri lavori all’interno dello studio. È soprattutto quest’ultimo aspetto a influire sullo sviluppo personale dei collaboratori e sugli impulsi per migliorare l’ambiente di lavoro.

Cosa possono fare i titolari di uno studio dentistico?
Per prima cosa il «quiet quitting» non deve mettere in allarme. L’obiettivo di molti «quiet quitter» non è danneggiare il datore di lavoro, perché generalmente sono contenti della loro professione e vanno a lavorare volentieri. Tuttavia, vogliono stressarsi di meno e avere possibilmente molto tempo libero.

Per evitare il «quiet quitting» è importante che l’ambiente di lavoro sia improntato alla comprensione e al riconoscimento del lavoro prestato. Sia le lodi che le critiche dovrebbero quindi venire naturali. Chi si sente preso in considerazione e sostenuto è più propenso a fare un favore ai colleghi di lavoro. Anche gli eventi che coinvolgono tutto il team, un orario di lavoro flessibile e la possibilità di seguire corsi di perfezionamento professionale aiutano a “fidelizzare” il personale. In cambio, però, occorre garantire un salario equo e pause a sufficienza durante la giornata lavorativa.

Finora non sono ancora stati condotti studi sulle vere e proprie ripercussioni del «quiet quitting». Tuttavia, se questa tendenza dovesse consolidarsi, i datori di lavoro non potranno fare finta di niente, perché il successo di un’impresa dipende anche dall’impegno e dalla creatività dei suoi collaboratori.